Dimenticatevi le Archistar

L’architettura è un gesto collettivo e tutti ne sono protagonisti. È questo il pensiero di Francesca Torzo, nuova giurata italiana del BMIAA ’25. 

di Michela Pesenti 

Padovana, classe 1975, Francesca Torzo studia alla TU Delft, all'ETSAB di Barcellona, all'AAM di Mendrisio e allo IUAV di Venezia. Si laurea allo IUAV di Venezia nel 2001 con Peter Zumthor con il quale collabora nel 2021-2022; nel 2003 lavora presso lo studio Bosshard Vaquer Architekten di Zurigo e nel 2008 apre il suo studio a Genova. Assistente presso l'Atelier Bearth dell'AAM di Mendrisio (2009-2017), docente alla Bergen Arkitekthøgskole (2017-2021) e all'AAM di Mendrisio (2020-2024). Ha tenuto lezioni presso numerose scuole e istituzioni internazionali; partecipa nel 2018 alla 16. Mostra Internazionale di Architettura-La Biennale di Venezia. Nel 2028-2019 è presidente della Fondazione Maarten Van Severen di Gent. Nel 2020 vince il premio Moira Gemill e il suo progetto Z33 House for contemporary art a Hasselt riceve il Premio internazionale Piranesi 2018 e il Premio Italiano di Architettura nel 2020, è stata inoltre tra i cinque finalisti del Mies van der Rohe Award 2022. 

Francesca Torzo

Per la prima volta nella storia del BigMat International Architecture Award, in giuria per l’Italia c’è una donna, ma quando le facciamo notare questo primato l’architetto Francesca Torzo sorride e ricorda la sua esperienza in edilizia, le difficoltà iniziali nel rapportarsi con un mondo maschile come quello dei cantieri e delle imprese di costruzione e di come abbia superato le diffidenze iniziali dimostrando sul campo professionalità, competenza e una forte inclinazione alla collaborazione. 

Per Francesca Torzo l’architettura è, infatti, prima di tutto un lavoro di squadra e una partnership tra tutti gli attori, a prescindere dal ruolo e ovviamente dal genere. Questo modo di guardare all’architettura, come un’espressione corale che coinvolge tutta la filiera, si sposa perfettamente con lo spirito del Premio Internazionale di Architettura di BigMat. 

Sguardo deciso, voce pacata e grande capacità analitica, l’architetto Francesca Torzo ci accompagna in una riflessione sui temi dell’architettura, parlando di cultura, storia, empatia e umanità. 

«È un onore essere stata scelta come giurata italiana perché il BMIAA è un Premio storico con un profilo di massima serietà e rispettabilità, sono molto felice di questa esperienza perché credo fortemente nei concorsi di architettura come strumenti per promuovere il valore esemplare delle opere e per ribadire, anzitutto, l’importanza del costruire a regola d’arte chiedendoci però costantemente: cosa significa davvero costruire a regola d’arte?». 

I premi di architettura, come il BMIAA, sono infatti luoghi di conversazione dove portare avanti una riflessione sul buon costruire che, come sottolinea l’architetto, «cambia di tempo in tempo e di società in società, è un dibattito sempre vivo». 

Il BigMat International Architecture Award da oltre dieci anni, e da sette edizioni, ha come obiettivo proprio premiare la qualità del costruire e del progettare a livello europeo, al centro di tutto ha sempre messo appunto il valore dell’opera che anche l’architetto Torzo riconosce come un pilastro: «Il valore e l’esemplarità di un’opera risiedono nel suo essere testimone della capacità professionale di combinare istanze di attori molto spesso in conflitto, come architetti, progettisti, contractor, costruttori, committenti e così via. L’opera è infatti, secondo me, l’espressione della capacità di mediare e negoziare le esigenze, le necessità e le ambizioni dei vari interlocutori». Attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dell’esemplarità di un’opera, il Premio Internazionale di Architettura di BigMat contribuisce a costruire un discorso pubblico attorno al tema del progettare e del ruolo dell’architettura nella società e lo fa con più voci e più punti di vista di respiro europeo: sono infatti sette i Paesi coinvolti (Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Spagna) ognuno con le proprie peculiarità e storicità architettoniche. 

«Mi auguro che da questa edizione, come già accaduto nelle precedenti, possa emergere una “valutazione”, un giudizio di consistenza e di serietà sulle opere e soprattutto che nascano delle riflessioni anche sul nostro mondo, che sta vivendo trasformazioni sociali, politiche e cambiamenti climatici, radicali – sottolinea Torzo –. La nostra società è fortemente improntata sull’individualismo, che è lo spirito caratteristico della modernità̀, ma oggi si percepisce la ricerca e il bisogno istintivo di avere una società di riferimento e una collettività e questo si applica anche all’architettura». In questo contesto è importante che realtà del settore delle costruzioni, come BigMat, propongano occasioni di incontro culturale, «sono momenti in cui possiamo dire e sottolineare alla società, pacatamente ma con orgoglio, che costruire edifici è un’opera culturale, anche quando è privata, perché è intrinsecamente pubblica in quanto l’architettura riguarda sempre la collettività e parla del mondo in cui tutti viviamo»

Per Francesca Torzo le sfide dell’architettura di oggi sono diverse ma una in particolare chiama tutti a rapporto anche la distribuzione: sviluppare strumenti per rendere gli edifici affordable e sostenibili a più livelli. «Dobbiamo sviluppare opere bilanciate che tengono conto di tutti gli aspetti: quello economico, funzionale, ma anche culturale, sociale ed estetico. Per fare questo l’unica via è il dialogo continuo e reciproco tra architetti e costruttori ma anche produttori e distributori di materiali edili». 

BigMat da sempre risponde a questa chiamata rafforzando il dialogo con il mondo della progettazione. Lo fa ogni giorno nei punti vendita, mettendo a disposizione di progettisti e imprese un know-how specializzato e una forte expertise sui materiali, ma anche a livello internazionale proprio con il Premio di Architettura. Una vicinanza che anche la nuova giurata ha voluto lodare: «Apprezzo molto che la paternità del Premio sia di un Gruppo di distribuzione di respiro europeo perché credo nel dialogo di tutta la filiera delle costruzioni, dall’architetto fino agli artigiani e la manodopera». 

Francesca Torzo rimarca spesso che tutta la filiera deve imparare a comunicare meglio, in uno sforzo collettivo lungo il processo di costruzione, un punto di vista condiviso anche da BigMat che mette la rivendita al centro della comunicazione tra studio di progettazione e cantiere nel ruolo di interlocutore e partner. «Committenti e costruttori sono “compagni di viaggio” nell’avventura del costruire, ad ogni scala, e il dialogo deve essere costruttivo e di invenzione per trovare un equilibrio tra scelte progettuali e tecniche, estetica e bilancio economico di un’opera. Penso che l’attuale iperspecializzazione delle discipline della progettazione crei un “isolamento” nella comunicazione tra le professioni che spesso porta a investire l’architetto di un ruolo di esteta o di scenografo, nel senso più limitato del termine, e questo fenomeno è forse legato anche alla crescita esponenziale del numero e della quantità di operatori della progettazione, a volte in esubero rispetto alle esigenze». 

Corale è l’aggettivo che meglio descrive il processo costruttivo per la giurata italiana, che pensa sia giunto il momento di un cambio profondo nel ruolo dell’architetto oggi: «La società trasmette un’educazione alla professione che è quella dell’eroismo, della figura solitaria dell’architetto che inventa un mondo e una tendenza – spiega l’architetto –, ma io penso che non si possa costruire da soli. La costruzione è quanto di più collettivo possa esistere e l’architetto ha l’onore e l’onere di coordinare tante voci, auspicabilmente in modo giusto e bilanciato, dando ascolto a esigenze e necessità che a volte possono anche andare oltre le proprie abitudini costruttive e questo è possibile solo se l’architetto trova un vero partner che lo accompagna nel processo di realizzazione dell’opera». 

Ma questa dinamica corale e collaborativa potrebbe avere applicazioni diverse andando a interpellare un altro grande attore del processo costruttivo: l’industria e la filiera dei materiali edili. È auspicabile un sodalizio ancora più stretto tra architettura e produzione e distribuzione dei materiali, «non solo per costruire bene ma anche per portare innovazione a tutta la filiera scambiandosi conoscenza e sviluppando nuovi materiali e sistemi costruttivi che riducano i costi di realizzazione e che restituiscano alla comunità spazi abitativi, oggi considerati un lusso più che la normalità. Credo che i due comparti possano sviluppare insieme progetti di ricerca sperimentali soprattutto coinvolgendo i giovani laureati in architettura». 

Docente universitario dal 2009, l’architetto Torzo ha un contatto diretto con i giovani e i futuri architetti e nota come negli ultimi anni ci sia stato un cambiamento significativo negli studenti di architettura: «L’eroismo dell’architetto come figura individuale e archistar è stata forse messa un po’ in discussione per lasciare spazio a una forte esigenza di ricerca di qualità e di una pluralità. I giovani architetti oggi sono interessati più alla ricerca di una relazione dell’architettura con la storia e la cultura dei luoghi, piuttosto che lo sviluppo di una tendenza con l’aspirazione di riscrivere un linguaggio di progettazione che poi cambierà nel giro di cinque anni». 

Ai giovani che descrive Torzo il BMIAA dedica ogni anno un premio speciale per gli architetti under 40. «È una generazione di cui sono molto curiosa: voglio vedere i loro pensieri trasformati in architettura – confessa la giurata –, dobbiamo sfumare questo conflitto tra generazioni, che è distruttivo, mentre va incentivata l’aggregazione. Quindi benvenuti giovani, c’è bisogno di voi e dei vostri sguardi carichi di domande che fanno riflettere, di avventatezza e impazienza». 

Nel palmares del BMIAA si trovano opere premiate sempre per la loro capacità di contribuire a ridisegnare il paesaggio costruito con spazi che trasmettono innovazione, comfort, benessere abitativo, efficienza energetica e sostenibilità

Tutti valori must have anche per Francesca Torzo che però sottolinea: «Il dibattito sulla sostenibilità è diventato una conversazione di specialisti su dati di performance e certificati che, a mio avviso, hanno troppo poco a che fare con la vera sostenibilità. Pensando anche all’uso dei materiali, ad esempio, il legno che è così confortevole per la coscienza in realtà rischia di deforestare il Trentino Alto Adige e l’esigenza di sostenibilità potrebbe rovinare le Dolomiti. La sostenibilità è per me più un tema di misura: nessun materiale è buono o cattivo e ogni materiale porta con sé una sensatezza di utilizzo, un’appropriatezza di lavorazione e una cultura di impiego, spesso millenari. Dobbiamo riflettere sulla sostenibilità in termini più ampi e non solo sulla performance green di un edificio, ma parlare anche di responsabilità dei comportamenti e delle abitudini abitative della nostra società con una riflessione sui consumi». 

Per ampliare il confronto culturale sulla sostenibilità in architettura bisogna quindi chiedersi: cosa è davvero sostenibile? Come si può declinare questa sostenibilità anche nella gestione degli spazi e delle inuguaglianze sociali? La sostenibilità traina poi una riflessione sul patrimonio costruito esistente come approfondisce l’architetto: «C’è molta attenzione sulla pratica del “riuso” in architettura; la ristrutturazione e il restauro in Italia sono ambiti ampiamente diffusi e nessun Paese è stratificato come il nostro. Credo sia interessante tornare a riflettere sui centri storici e su una progettazione della città più oculata e più attenta, che integri le attività produttive nei centri storici anche per evitare che diventi un luogo per privilegiati che esclude e sposta le persone verso l’esterno, andando poi a incrementare la ricaduta negativa sulla mobilità e sull’inquinamento e quindi sulla sostenibilità». 

Il nostro è un tempo incerto ma storicamente i momenti difficili sono quelli ricchi di possibilità e in cui ci apriamo a nuove domande. Il dibattito pubblico dell’architettura è molto concentrato sulla sostenibilità e sul riuso ed «è il momento in cui va rinsaldato il rapporto tra architetti, ingegneri e costruttori provando a porsi delle domande sul patrimonio storico e su come creare strumenti tecnici per rendere sostenibile economicamente una condizione abitativa che dia priorità alla dignità̀ sociale mettendo in discussione anche l’hi-tech che, per quanto indispensabile nella produzione dei materiali, diventa eccessiva e superflua in altri casi. Abbiamo bisogno di tutta questa hi-tech nei nostri edifici? Serve ai fini della sostenibilità economica e ambientale della costruzione?». 

I progetti che si candideranno alla settima edizione del BigMat International Architecture Award sapranno certamente rispondere e darci un quadro dell’architettura europea ma cosa cercherà nelle opere candidate la nuova giurata italiana? 

«Non ho pregiudizi o preferenze e sono aperta a tutti gli approcci. Apprezzo e rispetto molto i progetti che hanno empatia con i luoghi, che sono esempio di eccellenza professionale e nella costruzione ed è indispensabile che nel progetto ci sia una posizione culturale, anche diversa dalla mia». E aggiunge: «sono anche curiosa di conoscere come sono nati i loro incarichi e come si è sviluppata la loro attività, che è la parte più complicata del fare architettura, soprattutto per i giovani». 

Sincera, schietta e molto attenta, così si descrive Francesca Torzo nella sua veste di giurata italiana, ma anche come donna dell’architettura, e sottolinea come «l’approccio femminile all’architettura è più visibile nella capacità di multitasking, in una maggiore empatia e capacità di mediazione, ma soprattutto nel senso di veglia sulla comunità e quindi su tutto quello che intorno a essa si costruisce». 

Questo senso di empatia, tutto femminile, traspare anche nel modo in cui Torzo interpreta il processo di progettazione ma anche i materiali edili che per lei, come era per Leon Battista Alberti, sono tutti materiali vivi: «Non ho un materiale preferito con cui lavorare, li amo tutti, perché per me costruire è tessere una narrativa che unisce il passato e il futuro, un progetto nasce con materiali e dettagli che ogni volta sono diversi perché anche l’approccio è differente e connesso a un luogo e a una storia». 

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